Kidding: la recensione della serie tv che ha riunito Jim Carrey e Michel Gondry

14 anni dopo Se mi lasci ti cancello, il regista francese e la star americana, ormai da tempo fuori dal giro che conta, tornano a lavorare assieme in un serial tragicomico e inclassificabile, con personaggi affascinanti e momenti di grande emozione

Kidding: la recensione della serie tv che ha riunito Jim Carrey e Michel Gondry

14 anni dopo Se mi lasci ti cancello, il regista francese e la star americana, ormai da tempo fuori dal giro che conta, tornano a lavorare assieme in un serial tragicomico e inclassificabile, con personaggi affascinanti e momenti di grande emozione

Jim Carrey in Kidding

Quasi ogni serie importante ormai è un prototipo, non esiste più un vero formato, le griglie larghe dello streaming permettono infiniti aggiustamenti nella durata e nel numero degli episodi, oltre che nei tagli tra uno e l’altro, che sempre più spesso assomigliano a pretesti. C’è però una rifondazione linguistica molto più ampia che gli autori ambiziosi mettono a tema sfruttando questa specie di libertà da pionieri, e che riguarda direttamente la scrittura dei personaggi, il loro movimento dentro a un contesto, in pratica la voce del narratore.
Su questo punto è evidentemente più raro scoprirsi stupiti, perché è una questione che va oltre la meccanica industriale o il movimento di marketing dello show, e comporta una certa dose di rischio.
Dose che si concede ampiamente Kidding, prodotto da Showtime (spesso impegnata nella mezza-avanguardia della tv commerciale), trasmesso in Italia da Sky Atlantic, e salito alle cronache per la produzione esecutiva di Michel Gondry e il ruolo da protagonista di Jim Carrey, due che si conoscono bene dai tempi di Se mi lasci ti cancello.

Kidding racconta il decorso post-traumatico di una star della televisione per l’infanzia, Jeff Piccirillo, che ha perso in un incidente uno dei suoi due gemelli e si sta separando dalla moglie. Il suo personaggio pubblico, Mr. Pickles, è un cantastorie in carne e ossa in un mondo di silicone e cartapesta, un menestrello-educatore che opera dentro una realtà alla Art Attack. La trama, e questo è il primo punto, non assomiglia per nulla a una strada segnata: Jeff sviluppa una forma di depressione che si traduce in un immaginario decadente e in un estremo irrigidimento morale che piano piano si infilano nel suo show, costringendo il padre-produttore (Frank Langella) a immaginare un futuro in cui Mr.Pickles sarà (letteralmente) un pupazzo manovrabile a piacimento.
Il viaggio della serie è quindi un viaggio nell’umore e nella fantasia di Piccirillo/Mr. Pickles, in cui realtà e messa in scena del reale, fantasia e psicosi, si scambiano continuamente di ruolo, rendendo lo spettatore partecipe dello spaesamento del personaggio.

È una buona lezione: la grande tv, in questa golden age che sembra ancora lontana dalla propria fase calante, è soprattutto una questione di grandi personaggi e linguaggi alternativi, perché non ci sono in giro abbastanza storie per tutti.
Kidding opera una deviazione eccentrica sul tema del lutto e fa della propria coerenza stilistica, della qualità di impaginazione e recitazione, una ragione di persistenza: restano in mente sequenze memorabili fuor di trama (i giochi di prestigio dei due ragazzini, l’artista giapponese che conosce l’inglese solo con la voce da ventriloquo), e questa coloratissima mestizia, quest’obbligo sociale e industriale all’allegria che la vita ha reso definitivamente obsoleto.

E resta in mente Jim Carrey, a sua volta calato in un ruolo che pare calato dentro la sua cronaca recente. Il suo disagio a orologeria è il centro bollente di una narrazione gelida, emerge di rado e all’improvviso (vedi il finale di stagione) e ha una potenza traumatica in cui, con qualche anno sulle spalle, è molto facile riconoscere qualcosa di sé.
Fuor di fantasia e di nuovo dentro la vita vera.

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